Intervista a Daniele Rimi

30.04.2013 22:27

 



-Che cos’è per te il talento?
Io credo che sia una condizione dell’anima. Con il talento si nasce, non si costruisce nel tempo. Certo, puoi affinarlo ma, se c’è, c’è sin dall’inizio. È un dono che si deve imparare a coltivare altrimenti rimani sempre lì: non lo aiuti, e non aiuti nessuno.

 

-Come ti sei avvicinato alla musica?
Quando avevo circa quindici anni conobbi un gruppo di ragazzi un po’ più grandi di me che suonavano cover dei Doors. Cominciai a scoprire che dentro di me c’era un forte desiderio di imitarli. Quindi è partita come una voglia di avvicinarmi a loro in questo senso. Piano piano negli anni le cose sono cambiate e, dai diciotto anni in poi, ho scoperto la mia musica. Avevo cover band, suonavo con altra gente… tutto questo percorso sempre da autodidatta. L’approccio allo strumento è stato quasi immediato, si è evoluto lentamente ma alla fine ha dato i suoi frutti.

-Quanto tempo gli dedichi?
Molto poco. Potrei dedicargliene molto di più. Sia alla musica che a tutte e altre cose che amo fare e che considero un dono. Scrivere e fare musica mi viene naturale, così come la scrittura, per la quale credo di essere abbastanza portato, ma non le ho mai dedicato il tempo che dovrei perché ho sempre avuto troppe distrazioni. Se gli avessi dedicato il tempo che si merita, non sarei ancora qui a fare il libraio in un paesino. Però da qualche giorno a questa parte sono più consapevole della voglia di dedicare alle mie passioni più tempo.

-C’è qualcuno in particolare che ti incoraggia?
Negli ultimi anni mi ha spronato molto Ernesto D’Angelo, insegnante di batteria alcamese nonché persona splendida, dal profilo umano e di una profondità e una cultura musicale immensa. Penso possa essere un ottimo mentore per tutti noi. Poi ci sono gli amici, la famiglia… comunque tutti si rendono conto di avere accanto qualcuno che ha un minimo di talento che magari, se spronato, può fare di più.

-C’è un artista in particolare che ti ispira?
Dall’età di sedici anni tengo impressa nella mente, nelle orecchie e nell’anima la figura dei Radiohead, che per me sono il gruppo della vita. Mi hanno permesso di aprire strade completamente nuove dal punto di vista del saper mettere dei sentimenti in musica e saper esprimere con le parole qualcosa che vediamo ogni giorno. Effettivamente scrivere musica, così come un racconto o un romanzo, è come guardare con la lente d’ingrandimento qualcosa di naturale su cui nessuno riesce a posare un occhio attento.

 

-Pensi che ad Alcamo i talenti siano valorizzati abbastanza?
Assolutamente no. Io punterei molto sulla cultura dei talenti attraverso la creazione di associazioni o gruppi di sostegno gestiti da gente qualificata, adulta, che fa questo lavoro da anni e lo sa fare bene ma che lo faccia come passione, non come mestiere. Qui ad Alcamo ci sono persone che fanno musica da tanto e hanno talento a capacità. Mi riferisco ad Ernesto D’Angelo, Paolo Cracchiolo… ce ne sono davvero tanti! E questa è una cosa grave perché è un po’ triste sapere di essere in tanti senza però riuscire a trovare un modo per riunirsi, mettere insieme delle idee e confrontarsi in uno spazio aperto che ti dia la possibilità di migliorare la tua predisposizione artistica. Io penso in qualche modo di farlo, nel mio piccolo, con quelle che sono le mie forze qua dentro, sempre molto limitate, organizzando concerti, corsi di scrittura e di fotografia ed incontri con gli autori che per me sono un appiglio, un aggancio per i talenti che vengono qui per imparare qualcosa che possa aiutarli a sfruttare meglio le loro capacità e progredire nel loro percorso artistico. Secondo me la predisposizione che si ha verso un’arte è un dono che non è dato solo per il proprio interesse personale, per il proprio tornaconto, bensì dato per essere restituito agli altri così che questi possano apprezzare bene quello che fai.

 

-Cosa ne pensi del lasciare Alcamo per cercare fortuna altrove?

Io credo che il paese in questo momento non abbia gli strumenti per poter creare qualcosa. Le persone ci sono ma mancano motivazione, risorse, volontà e voglia di mettersi al servizio degli altri. Da parte dell’ istituzione e dei privati mancano le proposte, così vediamo molte persone sgusciare via. Il mio desiderio sarebbe quello di andare via ma con l’intento di crescere fuori per portare dentro qualcosa. La cosa migliore sarebbe che i talenti vadano via per imparare e poi tornino per mettere a frutto quello che hanno imparato, altrimenti perderemmo tutti. Alcuni talenti che rimangono qui non avendo opportunità si spengono, muoiono. Invece se avessero avuto la possibilità di andare fuori avrebbero acquisito più armi, conoscenza, capacità e forza. Cose che Alcamo non riesce a consentire.

 

-Che consiglio dai ai giovani talenti?
Credere molto in se stessi. Fermamente. Non lasciarsi mai buttare giù da nessuno. Questo è il miglior modo per proseguire, anche se è molto complicato credere in se stessi e ne sto facendo esperienza a mie spese perché in questi anni non ho mai creduto molto nelle mie capacità. Il consiglio che do, quindi, è: smettete di pensare che le cose vadano bene soltanto quando gli altri ti dicono che vanno bene e cominciate a pensare di avere delle capacità, dovete andare avanti nonostante tutto. Contro tutto e contro tutti credete sempre in voi stessi.

 

-Nel tuo ideale come vorresti proseguire la tua carriera?
Non ho grandi ambizioni. Mi piacerebbe vedere qualche mio libro pubblicato, anche se non lo leggessero in molti, e poter fare un tour di concerti in piccoli locali. Non ho aspirazioni da superstar o grande scrittore con milioni e milioni di lettori. La mia idea è di riuscire a vivere con le mie passioni, nel mio piccolo e nell’indispensabile per andare avanti. Riuscirci sarebbe la più grande soddisfazione della mia vita!