Quando il mondo mi scappa di mano

16.11.2013 11:28

 

Nota: Questo articolo è stato scritto per la sezione "Cosa farò da grande?" del giornalino del liceo classico Cielo D'Alcamo. Il carattere soggettivo e strettamente personale del pezzo è giustificato dalla destinazione editoriale.

 

“A Milena, che vorrebbe afferrare il mondo, e il mondo le scappa di mano”
Era il 21 Ottobre 2012 quando Roberto Alajmo mi scrisse questa dedica, avevo appena finito la prima lezione del mio primo corso di giornalismo, la mia passione e il mio futuro lavoro. Chi mi conosce sa che ho un pessimo rapporto con le “mie” emozioni, che spesso di “mio” sembra abbiano poco, ma quando accosto le parole l’una accanto all’altra, tutto diventa improvvisamente più chiaro, in ordine. Scrivendo riesco ad afferrare quel mondo che mi sfugge sempre, il mio. Quando mi chiedono “Perché sei così decisa a diventare una giornalista?” sono abituata a rispondere “Perché mi affascina l’idea dell’informarsi per informare attraverso la scrittura, che è per me la forma d’arte più bella”. Ormai è una risposta meccanica, vera ma incompleta; scrivere mi aiuta a conoscermi, mi diverte, mi obbliga a confrontarmi costantemente con le mie potenzialità e con i miei limiti. Il giornalismo oggi è una strada difficile: Twitter è diventato una ricchissima fonte di informazioni istantanee e con Windows8 non serve più nemmeno collegarsi ad internet per sapere cosa succede nel mondo. Diventare un giornalista oggi può apparire l’apice dell’ingenuità o della follia. Possibile, ma so che questa pazza strada è l’unica che sarà capace di rendermi felice. Considero pietoso chi, sottovalutandosi, si iscrive ad un’università che non gli piace pensando gli fornisca maggiori possibilità di trovare un posto di lavoro condannandosi all’infelicità di fare tutta la vita qualcosa che non gli piace. Nessuno stipendio può far sentire un uomo completo, nessuna ricchezza può far provare quello che scrivere fa provare a me. Per questo non potrei nemmeno considerare il giornalismo un vero lavoro: “Scegli un lavoro che ami, e non dovrai lavorare neppure un giorno in vita tua”, disse Confucio.
Quando ho letto la dedica dello scrittore che ammiravo tanto mi sono sentita morire dentro. Avevamo parlato appena qualche secondo e tutto ciò che credevo avessi lasciato trasparire di me era la mia determinazione nel diventare una giornalista. Perché aveva scritto un così aspro giudizio, quel sadico!? Mi sono sforzata di sorridere e gli ho chiesto: “Perché mi scappa di mano?”. Alajmo stacca la penna dal foglio di un’altra dedica e mi guarda indifferente: “Perché mi dai l’impressione di una che vorrebbe afferrare il mondo e il mondo le scappa di mano. Poi… potrei anche sbagliarmi.” Ero nervosissima. “Spero di sì!” Ride. “Hai ragione, speriamo di sì!” Con poche parole quell’uomo era riuscito a mettermi in crisi facendomi pensare che forse ero più sconosciuta a me stessa che a lui. Allora, quello che era stato il mio mito e che in quel momento stavo odiando, si allontanava silenzioso, lasciando sul bancone del caffè letterario questa dedica per mio padre: “A Giuseppe, se non altro per aver fatto una figlia così in gamba”.
Questa estate ho frequentato un secondo corso di giornalismo, è stato pubblicato un mio pezzo su una nuova testata regionale, ho ricevuto critiche positive da giornalisti di una certa rilevanza, adesso collaboro con il quotidiano online Alqamah e aggiorno sempre un blog in cui raccolgo tutti i miei articoli (www.millypotty.webnode.it), ed ho solo sedici anni. Tutto quello che faccio è credere in me stessa e in quello che faccio, cosa che ho imparato a fare soprattutto grazie ad Alajmo che, mettendo alla prova la mia ambizione, mi ha insegnato più di ogni altro giornalista.
Le persone diventano veramente straordinarie quando cominciano a credere di poter fare le cose. Quando credono in se stesse hanno il primo segreto del successo” [Norman Vincent Peale]